Non si trovano le bobine su un misterioso regista d’affari
Fra la fine del 1981 e l’inizio del 1982 la squadra mobile di Agrigento intercetta l’utenza del capomafia Carmelo Colletti, che parla spesso con un’utenza della Icre (Industria chiodi e reti) di Bagheria. Molti anni dopo, il collaboratore di giustizia Angelo Siino spiega che in quei dialoghi c’era un “ragioniere” molto particolare, Bernardo Provenzano, e che i mafiosi se la ridevano perché gli investigatori non l’avevano mai individuato.
Gli investigatori corrono a cercare quelle bobine al palazzo di giustizia di Agrigento. Ma non si trova nulla dentro le casse che avrebbero dovuto conservare gli atti del primo maxiprocesso alle cosche.
Chissà perché durante i tre mesi di intercettazioni nessuno della squadra mobile di Agrigento o di Palermo andò a verificare chi fosse il ragioniere a cui il capomafia Carmelo Colletti si rivolgeva nelle conversazioni con tono di reverenza, soprattutto quando c’era da dividere gli utili di alcuni imprecisati affari.
Tanti anni dopo, si saprà che la Icre era il quartier generale di Provenzano, e anche il suo “campo di sterminio”, come l’ha chiamato il pentito Giuffrè. “Qualcuno entrava e non usciva mai più”. Nel deposito c’era pure una fossa per sciogliere i cadaveri nell’acido.
Un vecchio investigatore mi ha svelato che all’inizio degli anni Ottanta un altro servizio di intercettazione a Bagheria venne interrotto senza alcuna apparente ragione. Quella volta, era la Guardia di finanza a indagare, su disposizione dell’autorità giudiziaria di Palermo, nell’ambito di un troncone dell’inchiesta su un traffico internazionale di droga, la Pizza Connection. Il vecchio investigatore ha sussurrato con rabbia che il servizio fu sospeso all’improvviso dopo che nelle intercettazioni era finita la telefonata alla Icre di un faccendiere straniero, risultato legato ad ambienti dei servizi segreti italiani.
DOCUMENTI:
Deposizione del pentito Antonino Giuffrè al processo Biondolillo