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Il fallito attentato all’Addaura

Scritto da Salvo Palazzolo il 13 maggio 2012 | 

Il 21 giugno 1989, la polizia trova una borsa carica di esplosivo sulla scogliera dell’Addaura (alle porte di Palermo), dove sorge la villa di Giovanni Falcone, all’epoca procuratore aggiunto del capoluogo siciliano.
Un mese dopo, Falcone parla di “menti raffinatissime” a proposito degli organizzatori di quell’attentato. Nel corso di un’intervista rilasciata al giornalista dell’Unità Saverio Lodato dice: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi, ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. Sono parole e interrogativi che restano di grande attualità oggi che i mafiosi sono in carcere, condannati per le stragi Falcone e Borsellino, ma nulla ancora sappiamo sulle “menti raffinatissime”.
L’intervista di Saverio Lodato a Giovanni Falcone (10 luglio 1989)


La prima inchiesta
I giudici della corte d’assise di Caltanissetta hanno cercato di ricostruire anche loro il mistero delle “menti raffinatissime”. Il 27 ottobre 2000, il processo ha portato alla condanna di alcuni dei responsabili del fallito attentato: Salvatore Riina, Salvatore Biondino e Antonino Madonia. Dopo l’annullamento dell’assoluzione da parte della Cassazione e un nuovo processo sono stati condannati anche Vincenzo e Angelo Galatolo, a 18 e 13 anni. Condannati definitivamente pure i collaboratori di giustizia Giovan Battista Ferrante (2 anni e 8 mesi) e Francesco Onorato (9 anni e 4 mesi).
La sentenza della corte d’assise di Caltanissetta (il testo integrale)

I giudici hanno cercato innanzitutto di scoprire come abbiamo fatto i mafiosi a sapere che il 20 giugno 1989 il giudice Falcone sarebbe andato a fare il bagno nel tratto di mare antistante la sua villa, assieme ad alcuni ospiti, due giudici svizzeri giunti a Palermo per una rogatoria.
Il racconto dei testimoni (tratto dalla sentenza di Caltanissetta)
Poi, i giudici nisseni hanno contestualizzato l’azione di mafia in quel determinato periodo storico, in cui erano accaduti episodi davvero particolari, che possono costituire indizi importanti per l’identificazione delle “menti raffinatissime”. Altri capitoli tratti dalla sentenza:
Il movente
Le lettere del Corvo
La presenza di Buscetta a Palermo
I giudici esaminano anche cosa accadde dopo quel fallito attentato a Falcone:
I delitti Agostino, Piazza
I giudici ripercorrono alcune dichiarazioni dei collaboratori di giustizia:
Gli incontri di Di Carlo con i servizi segreti
Un capitolo della sentenza è dedicato anche all’artificere che si occupò dell’ordigno dell’Addaura:
Tumino


La sentenza della Cassazione
I giudici della Suprema Corte che si sono occupati del fallito attentato all’Addaura descrivono i “torbidi giochi di potere” che isolarono Giovanni Falcone, e anche “l’infame linciaggio diretto a stroncare per sempre la reputazione e il decoro professionale del valoroso magistrato” (tratto da pagina 53 e ss. della sentenza di Cassazione).
La sentenza della Cassazione (il testo integrale)


La seconda inchiesta
Le dichiarazioni del pentito Angelo Fontana, uno dei mafiosi del clan Acquasanta che preparò l’attentato all’Addaura, hanno portato all’apertura di una nuova indagine sui fatti del giugno 1989. Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e i magistrati del suo pool antimafia (costituito dagli aggiunti Domenico Gozzo ed Amedeo Bertone, dai sostituti Nicolò Marino e Stefano Luciani) hanno anche disposto l’esame del Dna sulle tracce biologiche recuperate dalla polizia scientifica sugli oggetti abbandonati accanto alla borsa con l’esplosivo.
L’incidente probatorio disposto dalla Procura

In occasione delle verifiche scientifiche ordinate dai magistrati, sono state depositate le dichiarazioni di Angelo Fontana. Il collaboratore chiarisce definitivamente che l’esplosivo fu portato da terra, e non via mare. Dice pure che l’attentato fallì perché gli attentatori videro avvicinarsi alcuni poliziotti sugli scogli e si allontanarono frettolosamente: Angelo Galatolo fece cadere in acqua il telecomando dell’ordigno.
Le dichiarazioni del pentito Angelo Fontana

Al vaglio dell’inchiesta anche le parole di un altro collaboratore, Vito Lo Forte, secondo cui all’Addaura ci sarebbe stata pure la presenza di uomini dei servizi segreti (Lo Forte fa riferimento all’agente Nino Agostino e all’ex poliziotto Emanule Piazza). Per questa ragione, i magistrati hanno disposto anche il confronto fra i Dna ritrovati sulla scogliera dell’Addaura e quelli di Agostino e Piazza, ma nulla è emerso. Dunque, allo stato, l’ipotesi di Lo Forte non ha trovato alcuna conferma. I magistrati di Palermo sono più propensi a ritenere che Agostino e Piazza fossero impegnati nella ricerca dei latitanti, nell’ambito di strutture riservate collegate con i servizi segreti.
Le dichiarazioni del pentito Vito Lo Forte

Un pool di esperti nominato dal gip di Caltanissetta Lirio Conti ha individuato quattro profili di Dna su alcuni reperti ritrovati all’Addaura, nel giugno 1989. Un profilo, estratto da una maglietta, appartiene ad Angelo Galatolo (classe 1966), già condannato per la fallita strage. Sugli altri tre profili genetici sono in corso accertamenti, attraverso le banche dati di polizia e carabinieri.
La perizia sui Dna

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