La mafia siciliana è alle corde, rassicurano le statistiche ufficiali nonché i pareri di autorevoli politici e commentatori. Si argomenta che i padrini storici e i loro gregari sono in carcere, a scontare dure condanne, e che non si verificano più omicidi eclatanti. Così, la convinzione che Cosa nostra sia stata sconfitta ha già declassato la lotta alla criminalità organizzata nell’agenda della politica e della grande informazione.
Eppure, credo, restano ancora tanti misteri da svelare attorno a una lunga e drammatica pagina della storia d’Italia. Sono i pezzi mancanti che ho cercato di raccogliere in un diario che in fondo non è solo il mio: questo libro potrebbe essere il diario dei cronisti siciliani, di tutti quei cronisti che hanno posto degli interrogativi importanti nei loro articoli. Qualcuno ha anche pagato con la vita o con pesanti minacce l’impegno per la ricerca della verità.
Innanzitutto, mancano diverse prove, che sono state trafugate dopo i delitti eccellenti di Cosa nostra, il libro ne ripercorre 24. Poi, non sappiamo ancora i nomi di diversi sicari, dei mandanti occulti e di troppi infedeli servitori dello Stato: il libro segue le tracce di 25 talpe che hanno agito in alcuni momenti determinanti. Non sappiamo i nomi di molti insospettabili complici dei boss nella politica, e i nomi dei tesorieri che continuano a gestire i patrimoni dei clan. Tutti pezzi mancanti di una storia irrisolta.
A riesaminare gli indizi attorno ai pezzi che mancano della storia della mafia siciliana emerge un quadro a tinte forti, ancora attualissimo, perché quei segreti costituiscono la vera forza dei padrini in carcere e l’eredità per chi verrà dopo di loro. Quei segreti continuano a muovere complicità e ricatti. Se quei segreti non verranno svelati, non potremo dire che la mafia è stata sconfitta.