Il 12 marzo 1992, un commando di Cosa nostra uccide a Mondello (Palermo) l’eurodeputato democristiano Salvo Lima, l’ambasciatore di Giulio Andreotti in Sicilia. I pentiti lo indicano come il primo atto della strategia stragista decisa da Salvatore Riina e dalla Cupola mafiosa dopo la sentenza della Cassazione che il 30 gennaio di quell’anno ha confermato le condanne per il primo maxiprocesso alla mafia palermitana.
Il processo di primo grado, nei confronti del vertice di Cosa nostra, si fonda sulle dichiarazioni di uno dei sicari che spararono all’esponente politico, Francesco Paolo Onorato. Nella sentenza viene poi affrontato il tema dei rapporti fra mafia e politica: ancora una volta grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, i giudici descrivono i contatti che Lima avrebbe intrattenuto nel tempo con alcuni esponenti di Cosa nostra. Il principale testimone è Tommaso Buscetta, che dopo le stragi Falcone e Borsellino decide di affrontare quei capitoli che non aveva mai voluto mettere a verbale davanti al giudice Falcone, all’inizio degli anni Ottanta. Molto di questo materiale giudiziario è stato poi utilizzato dalla Procura di Palermo per istruire il processo al senatore Giulio Andreotti.
La sentenza della corte d’assise di Palermo per l’omicidio Lima
La sentenza della corte d’assise d’appello
La sentenza della Cassazione
L’omicidio di Ignazio Salvo
Il 17 settembre 1992, dopo le stragi Falcone e Borsellino, Cosa nostra proseguì nella strategia di attacco ai vecchi referenti politici con l’omicidio dell’imprenditore Ignazio Salvo, già condannato per mafia al maxiprocesso.
La sentenza della corte d’assise di Palermo per l’omicidio Salvo
Il caso Andreotti
Una ricostruzione approfondita dei rapporti economici e politici intrattenuti da Cosa nostra negli anni Settanta e Ottanta è contenuta nel processo al senatore Giulio Andreotti, imputato a Palermo per associazione mafiosa. L’ex presidente del Consiglio è stato assolto in primo grado dal tribunale presieduto da Francesco Ingargiola (23 ottobre 1999). In appello, la corte presieduta da Salvatore Scaduti ha decretato “non doversi procedere nei confronti di Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A) della rubrica, commesso fino alla primavera del 1980, per essere lo stesso reato estinto per prescrizione” (2 maggio 2003). La Cassazione, il 15 ottobre 2004, ha reso definitiva la decisione della Corte d’appello di Palermo: i giudici della Suprema Corte hanno creduto al racconto del pentito Francesco Marino Mannoia, che ha rivelato di essere stato testimone, nel 1980, di un incontro fra Andreotti e il capomafia Stefano Bontate.
La sentenza del tribunale di Palermo su Giulio Andreotti
La sentenza d’appello
La sentenza della Cassazione